Del latino è inutile che si parli; il greco uscirebbe dai confini della mia trattazione, ma giacché si sentono ancora di frequente esporre idee affatto sballate, mi valgo di un diritto che può parere usurpazione e ne dirò qualcosa. Perché Dante mostra di conoscere il valore di qualche parola di origine greca taluni credettero di poter sostenere che egli dovesse possedere, sia pure imperfettamente, quella lingua. Argomentando a questo modo si dovrebbe conchiudere che la maggior parte delle persone tinte in qualche modo di coltura conoscono oggi l'arabo e l'ebraico, perché sanno che vuol dire Gibilterra, Babelmandeb, e Messia. L'argomento più solido - figuriamoci che abbiano ad essere gli altri! - si cava da quelle parole di Virgilio, nel 14° dell'Inferno: (Ed io ancor: Maestro, ove si trova)
Rispose; ma il bollor dell'acqua rossa
Dovea ben solver l'una che tu faci.
Et Chaos, et Phlegethon, hora morte silentia late.
Fumicres atra vadis Phlegethon incendia volvit.
Ma questo sia detto più che altro per sbarazzare un inciampo e dissipare dei dubbi possibili. Ciò di cui importa che ci occupiamo di proposito si è la questione fin dove si estendessero le cognizioni di Dante in fatto di lingue moderne. Delle germaniche non seppe nulla, o a dir meglio mostra unicamente di sapere che per affermare si valgono dell'avverbio jo (Vulg. El. I,8). Che nel numero delle razze germaniche egli metta anche gli Ungari non dovrà far meraviglia a nessuno; anche oggi, in tanta luce di civiltà e di scienza linguistica, succede di sentire il medesimo sproposito sulla bocca di gente che avrebbe il dovere di essere colta, e che realmente si potrebbe dir tale. Nemmeno dello spagnuolo ebbe notizia esatta; credeva , a quanto pare, che parlassero la lingua d' oc. Il catalano lo dovette trarre in errore. Quindi è che egli si vale della voce hispani per designare in genere le popolazioni che parlano il provenzale: lo dice espressamente nel capitolo 12 del secondo libro del trattato De Vulgari Eloquentia, dove a proposito delle stanze \ (2 v.) costituite di soli endecasillabi ha queste parole:
Spagna | Hoc etiam Hispani usi sunt; et dico Hispanos qui poetati sunt in vulgari Oc. |
Conoscenza del francese | Quanto alla francese ricorderò citate
parole di un antico biografo (Filelfo 2):
|
Brunetto | E insieme torna a proposito rammentare che Dante ebbe a maestro Brunetto Latini che passò non piccola parte della sua vita in Francia e scrisse in lingua d'oïl la sua opera principalissima, il Tesoro. |
Tesoro | Quel Tesoro che nell'Inferno egli raccomanda appunto al suo amato discepolo colle ultime parole del loro affettuoso colloquio: |
Nel quale io vivo ancora; e più non cheggio.
Parigi | Rammenterò ancora il viaggio e la dimora di Dante a Parigi quando egli era già esule; viaggio e dimora attestate da moltissime testimonianze, \\ (3 r.) e a cui Sigieri di Brabante deve saper grado se il suo nome è rimasto ben altrimenti noto che quello di molti altri professori anche più illustri dei suoi tempi. |
È il lume di uno spirto, che in pensieri
Gravi, a morire gli parve esser tardo.
Essa è la luce eterna di Sigieri;
Che leggendo nel vico degli strami
Sillogizzò invidiosi veri.
Letteratura | Conoscendo la lingua s'intende bene che Dante ebbe a conoscere la letteratura francese in favella d'oil: letteratura per la maggior parte romanzesca e nella quale dobbiamo cercare la spiegazione e il commento per parecchi passi del poema. |
Tristano | Inf. V, 67 Vedi Paris, Tristano, etc. |
Lancilotto | " " ",127 Noi leggevamo |
Non quelli a cui fu rotto il petto e l'ombra
Par. 16, 10 Dal voi che prima Roma sofferire,
In che la sua famiglia non persevra,
Ricominciaron le parole mie.
Ginevra | Onde Beatrice, ch’era un poco scevra, Ridendo, parve quella che tossìo Al primo fallo scritto di Ginevra. |
De V. El.Ciclo di Carlo | Il ciclo carolingio. Carattere più serio. Se Dante credeva a Tristano, tanto più ad Orlando e ai paladini. |
Carlo Magno, Orlando, Guglielmo, Rinoardo |
C0 18 Così per Carlomagno e per Orlando Due ne seguì lo mio attento sguardo com'occhio segue suo falcon volando.
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E il duca Gottifredi la mia vista
Per quella croce, e Roberto Guiscardo.
E Orlando >aveva dato già< luogo a una comparazione nell'Inferno:
XXXI, 16 Dopo la dolorosa rotta, quando, etc.
Della rotta era stato autore il perfido Gano, che però non è scordato nell'Antenora:
XXXII, 121 Gianni del Soldanier credo che sia
Gano | Piu là con Ganellone e Tribaldello,
Ch'apri' Faenza quando si dormia. |
Arli |
Inf. IX Si’ come ad Arli, ove ’l Rodano stagna, |
Che Italia chiude e i suoi termini bagna, \\ (4 r.)
115 Fanno i sepolcri tutto il loco varo,
Così facevan quivi d'ogni parte,
Salvo che 'l modo v'era più amaro.
La tradizione riferiva questi sepolcri, che forse Dante aveva veduto coi suoi occhi, a una delle terribili battaglie combattute dai figlioli d'Amerigo di Nerbona contro i saraceni.
Lirica francese | Dei lirici francesi è ricordato uno solo, che per di più entra nel numero incidentalmente, giacché se usò per lo più della lingua d'oïl, che a lui nato conte di Sciampagna era lingua materna, altre volte si servì pure del provenzale: voglio dire quegli che nel trattato di Volgare Eloquenza è detto Rex Navarriae >(I, IX; II,V stesso principio; II, VI principi di una poesia in provenzale)<, nella Commedia il buon re Tebaldo . |
Inf. [XXI], 52 Poi fui famiglia del buon re Tebaldo:
Quivi mi misi a far baratteria,
Di che rendo ragione in questo caldo.
Guiraut de Borneil | Guido pone Arnaldo al di sopra di sé, e dà degli stolti a coloro che preferiscono quel di Lemos ì, Guiraut de Borneil. |
Perché prima preferito | Probabilmente Dante stesso nei tempi anteriori aveva dato la preferenza a quest'ultimo, giacché lo cita più spesso nella Volgare Eloquenza. |
Sestina | Al poco giorno e al gran cerchio d'ombra. |
Beltram del Born | E Beltramo che qui ho nominato, è pure uno dei personaggi che il poeta incontra nell'Inferno. |
Inf. XXVIII, 118
I' vidi certo, ed ancor par ch' io 'l veggia,
Un busto senza capo andar, sì come
Andavan gli altri della trista greggia
E 'l capo tristo tenea per le chiome
Pesol con mano a guisa di lanterna,
E quei mirava noi, e dicea: Ome! etc.\\ (5 r.)
Un altro trovatore è mostrato a Dante nel Paradiso: Folchetto di
Marsiglia, del quale gli si dice:
IX, 37 Di questa luculenta e cara gioia
Del nostro cielo, che più m'è propinqua,
Grande fama rimase, e pria che muoia,
Folchetto | Questo centesim'anno ancor s'incinqua. |
Sì ch'altra vita la prima relinqua.
E quando l'anima, interrogata da Dante, prende essa medesima la parola, ecco come gli rivela il suo nome:
Ib. 94 Folco mi disse quella gente a cui
Fu noto il nome mio, e questo cielo
Di me s'imprenta com'io fe' di lui;
Chè più non arse la figlia di Belo
Noiando ed a Sicheo ed a Creusa,
di me, infin che si convenne al pelo.
Vizio più comune dei poeti | L'amore >che facilmente degenera in libidine è< per Dante la passione >che< predomina nei poeti: quindi le fiamme dell'ultimo girone del Purgatorio, là dove si purgano Arnaldo e Guido, devono essere attraversate anche dallo stesso poeta: |
Gittato mi sarei per rinfrescarmi,
Tanto er' ivi lo incendio senza metro.
Cunizza |
Ma tornando a Folchetto chi prima lo aveva mostrato a Dante, chi gliene aveva magnificata la gloria, perpetua no, ma duratura, era una donna che ancor essa tiene un posto nella storia dei trovatori: Cunizza da Romano, la sorella \ ( 5 v.) d'Ezzellino e d'Alberico, l'amante di Sordello. |
Lezione II
Sordello |
Non c'è bisogno di ricordare qual posto egli vi tenga: tutti hanno a memoria i versi in cui egli è ritratto, tutti rammentano la sublime invettiva che la patria carità del >trovatore< mantovano inspira all'Alighieri. |
I due concittadini | Qui solo è da ricordare come Sordello, dopo aver abbracciato Virgilio qual concittadino, senza sapere null'altro di lui, lo riabbracci una seconda volta dopo che il suo nome gli fu rivelato. Ma questa volta l'abbracciare è di ben altro genere: non è l'uguale che abbraccia l'uguale, è l'inferiore che abbraccia il maggiore: \\ (6.r.) |
Subita vede, ond'ei si maraviglia,
Che crede e no, dicendo: ell'è, non è;
Tal parve quegli, e poi chinò le ciglia,
E umilmente ritornò ver lui,
E abbracciollo ove il minor s'appiglia.
La poesia antica e la volgare
V N |
Gli è che questa volta Dante pone a
fronte la poesia antica e la moderna, la latina e la volgare. Però
subito ci ritornano alla mente certi luoghi della Vita Nuova, in cui
Dante, alcuni anni innanzi,quasi dubitava di fare un paragone tra le due,
ed usciva a dire che
|
Altri trovatori
Lancia d’Achille |
Tuttavia ricorderò che oltre a Guiraut de Borneil, già menzionato per incidenza, il trattato De Vulgari Eloquentia nomina ancora Peire de Alvergne (Petrus de Alvernia , I, 9), Aimeric de Belinoi (II, 6, 12) e Aimeric de Peguilan . |
Inf. XXXI,1 Una medesma lingua pria mi morse, etc. \ (6 v.)
CL anniCome la storia l'arte | Si vede che le sue cognizioni erano imperfette; ma di queste non è qui a dire. Come la storia, così anche l'arte poetica delle tre lingue gli si rappresentavano sotto forma di unità. |
Sorelle
Rivali |
L'autore distingue, e però cita ordinatamente le autorità, ma ad un tempo unisce.\\ (7 r.) |
La contesa delle tre lingue e letterature ; nostro idiomate (cfr. sermon materno nel Purg .) | Ma se le tre lingue e le tre letterature gli si rappresentavano come sorelle, gli si rappresentavano pure come rivali. Tutte e tre avevano dei diritti >acquisiti<, dei pregi da vantare; diritti e pregi di tal sorta che Dante non si attenta a >dichiarare apertamente< a quale di esse spetti la preminenza. È una contesa che ha gran interesse per noi, e però non possiamo lasciare di leggere le parole di Dante, benché si tratti di un brano piuttosto lungo: |
Considerazione: francese e provenzale si
compiono
a perfezione |
Da questo brano, sia pure che Dante non decida, si trae tuttavia un'idea abbastanza chiara del posto che nella sua mente egli assegnava a ciascuna delle tre letterature. La francese e la provenzale si può dire che si compiano a vicenda: all'una spetta specialmente la parte narrativa e prosaica, all'altra la lirica; l'italiana, venuta più tardi, segue la provenzale per la materia e gli argomenti, ma riesce a superarla. |
Se non giudica teoreticamente, Dante giudica
bensì come italiano
Il Convito |
Ma se dal punto di vista teor>et<ico Dante non crede di poter giudicare, la cosa va bene altrimenti quando egli prende a considerar la questione dal lato pratico, come italiano. È nel Convito, scritto, per quanto si crede, alcuni anni più tardi, ch'egli ci esprime il suo giudizio. |
Le scuse | L’'autore conosce perfettamente ciò che fa, ed opera con piena coscienza; le lunghe scuse che riempiono il primo libro, se possono far sorridere noi, non cessano di esser degne della massima considerazione per chiunque pensi. |
Confronto con Cicerone | Se Dante non ci avesse suggerito egli stesso il confronto con Cicerone, senza dubbio ci saremmo corsi da noi medesimi: tanto >riesce< calzante. |
L'invettiva | A perpetuale infamia e depressione delli malvagi uomini d'Italia, che commendano lo volgare altrui e lo propio dispregiano, dico che la loro mossa viene da cinque abbominevoli cagioni. |
Conclusione del 1° trattato | Quindi fidente nel suo linguaggio e nelle sue proprie forze Dante ben a ragione conchiude il 1° trattato con quelle parole memorabili: |
Confronto colle affermazioni anteriori
V. N. |
Non è tuttavia a disconoscere che la fiducia nella sua favella gli era sempre andata crescendo, tantoché nel Dante, che scrisse le parole addotte del Convito, abbiamo fatica a ravvisare il Dante che nella Vita Nuova aveva detto: |
Evoluzione | C'è dunque anche sotto questo rispetto nel pensiero dantesco una evoluzione che va ben rilevata. Già nel trattato di Volgare Eloquio l'autore pensa ben altrimenti, giacché disputando quali argomenti si addicano al volgare illustre, dice che solo gli altissimi, e li distingue in tre categorie: Salus, Amor, Virtus: cioè Armi, \\ (10 r.) Amore, Rettitudine (Tutto il cap. II, IV è da vedere nella conferenza). |
Guido Cavalcanti
V. N. |
È Guido che raffermò Dante nel proposito di valersi dell'italiano scrivendo la Vita Nuova, a lui indirizzata: Guido, alla volontà del quale è da attribuire in parte se Dante si fece per questo rispetto tanto scrupoloso, da escludere dal libro un’epistola da lui composta sulla morte di Beatrice, perché scritta in latino: |
I colloqui | Pur troppo noi possiamo solo divinare che cosa avessero a dire nei loro colloquii famigliari i due amici intorno a questo proposito: ma appena si può mettere in dubbio che se Dante merita di essere chiamato padre di nostra lingua, se per lui il volgare toscano divenne pure il linguaggio della filosofia e della scienza in genere, e venne a fissarsi nel trecento anziché nel 500, Guido Cavalcanti ci ha la sua parte di merito. |
Così ha tolto l'uno all'altro Guido
La gloria della lingua, e forse è nato
Chi l'uno e l'altro caccierà di nido.
Posto di Dante di fronte alle lingue straniere | Così ci troviamo aver determinato il posto che spetta a Dante di fronte alle letterature straniere: le studia, le ammira, ne fa suo pro, ma insieme crede che sia da vituperare ogni italiano che scordando la patria coltivi lo volgare altrui in luogo del proprio. |
Quanto alla conoscenza che Dante doveva avere del greco tutte le prove sono della stessa forza. Per esempio si citano passi dell'epistola a Can Grande: 7 "Ad evidentiam itaque dicendorum sciendum est, quod istius operis non est simplex sensus, immo dici potest polysemum; hoc est plurium sensuum". Or bene, la lezione non è certissima perché altri leggono polysensuum ; ma io l'ammetto e l'approvo col Giuliani. Se non che la voce polysemum a significare "di molti sensi" occorre appunto in Servio, nel Commento al I° dell'Eneide.
Così poco dopo: "Allegoria dicitur ab
ajlloi'o" graece, quod in latinum dicitur alienum, sive diversum".
Ma santo Dio, qual'è quel libro che menzionasse l'allegoria senza
menzionarne il valore etimologico? Dirò che sa di greco uno che trova
etimologie, non uno che ha la bravura di trascriverne qualcuna. Questo dico
perchè l'Ozanam, così giudizioso, eccede un poco e pecca a
questo proposito: (Dante et la Phil. Cath. 114)
"Il n'ignora pas entièrement le grec, et, s'il n'y fit point des progrès assez soutenus pour lire aisément les textes originaux, les versions ne lui manquèrent pas". E in nota: Il cite des etymologies grecques avec assez de bonheur dans sa dedicace du Paradiso à Can Grande, et dans le Convito lib. IV cap.VI (Qui non si tratta di greco) Voyez aussi le sonnet,
Ponti sera e mattin contento al desco.
Questo sonetto non è ricordato per nulla nell'edizione Fraticelli, nemmeno tra le rime apocrife. \ (11 v.)
E a proposito di quanto ho detto, che se Dante avesse saputo di greco le prove abbonderebbero, ricordiamoci dello stento ch'egli dice di aver dovuto sostenere per entrare nella sentenza di Boezio e di Cicerone. Ed entrare nella sentenza qui significa intendere, giacché altrimenti non ci avrebbe nulla che fare la grammatica.