Pio Rajna, La Materia e la Forma della «Divina Commedia» . I mondi oltraterreni nelle letterature classiche e nelle medievali. Introduzione, edizione, commento a cura di Claudia Di Fonzo . Premessa di Francesco Mazzoni , Firenze, Le Lettere, 1998
(«Quaderni degli studi danteschi» 12).

 

 

3 "IL DIAVOLO TRA I PIEDI"

dall’Introduzione di claudia di fonzo

 

Genesi e stesura del primo ciclo di lezioni di Rajna (1873-74) tenute all’Accademia Scientifico-letteraria di Milano su suggerimento dell’Ascoli fino all’abbandono del progetto di "farne un libro", secondo quanto risulta dall’inedito carteggio Rajna-D’Ancona conservato in Marucelliana.

Pio Rajna (morto il 25 novembre del 1930) mentre confermava, dando al proprio testamento norma, la concordata donazione dei propri libri alla nativa città di Sondrio (che ne poté costituire il nucleo bibliograficamente e culturalmente più importante in ambito italo-romanzo della Civica Biblioteca, non a caso intestata a quel nome) legava invece i propri carteggi alla fiorentina Biblioteca Marucelliana (...). In quel privatissimo atto (da valere però come pubblico) il Rajna nominava eredi le quattro nipoti, ed esecutore testamentario il suo più antico, anzi primo scolaro (addirittura avuto quale studente nel periodo di prima nomina al modenese Liceo Muratori), cioè a dire Giuseppe Vandelli, espressamente coadiuvato da Annetta Rajna; con lo specifico incarico, quanto alle carte, di vagliarle perché in Marucelliana non affluissero documenti non meramente scientifici, che per contenuto o espressi giudizi potessero recar nocumento a viventi.
 

Primo tra tutti a visionare, leggere e utilizzare le due diverse filze di carteggi, Rajna a D’Ancona (carteggio 39) e viceversa (carteggio 12), fu dunque, con tutta probabilità, Vandelli. Ne dà conferma la commemorazione funebre da lui pronunciata in occasione della morte di Rajna, nella sala dell’Arcadia il giorno 31 maggio 1931 per iniziativa dell’Accademia degli Arcadi e della Società filologica romana, commemorazione pubblicata l’anno successivo nel volume degli Atti dell’Accademia medesima; in una nota iniziale di ringraziamento alla famiglia Rajna, Vandelli scrive:
 

 Ringrazio sentitamente la famiglia del Rajna dell’avermi comunicato con pronta e larga cortesia queste ed altre carte personali e famigliari di lui, donde ho potuto trarre notizie particolari e sicure intorno alla sua vita. Particolarmente utile mi è riuscita la lunga serie di lettere e cartoline scritte dal Rajna ad Alessandro D’ancona dal 1868 al 1914 e date in dono dalla famiglia D’Ancona al Rajna stesso dopo la morte del grande maestro dell’Università pisana.

Vandelli ricostruisce le vicende dei primi anni d’insegnamento di Rajna a Milano: al liceo Parini e nell’Accademia Scientifico-letteraria, proprio attraverso le lettere del Rajna al D’Ancona trascritte in una breve appendice nella quale si preoccupa di fornire dati precisi circa nomine e incarichi inserendo poche parole di quelle lettere ma molte informazioni da esse ricavate. Le ultime parole dell’appendice sono dedicate al primo corso universitario, quello d’argomento dantesco, e sono tratte dalla lettera del 6 marzo 1874 che Rajna scrisse al D’Ancona, di seguito riportata nella trascrizione che ne offre Vandelli:
 

Le lezioni camminano. La paura del pubblico la sento assai poco, e tra breve non me ne resterà più nulla. Piuttosto bisogna che mi avvezzi a tollerare con indifferenza certi altri incidenti: un uscio che si apra mi disturba immensamente e mi espone al pericolo di perdere il filo delle idee. Fino ad ora tutto quello che ho detto è stato una specie di preparazione; ho discorso delle conoscenze di Dante in fatto di lingue straniere; poi ho detto in generale del contenuto della Divina Commedia per mostrare come l’argomento che io tratterò non è se non una parte minima di un problema sconfinato; finalmente l’ultima volta ho cercato di far vedere che la visione per Dante è qualcosa di connaturato col suo ingegno e non già una semplice forma d’arte, e che però assai più che l’andar in cerca di intenzioni conviene studiare in che modo si siano prodotte quelle condizioni per le quali nacque il suo poema. Così mi sono giustificato della larghezza che darò allo studio delle visioni dell’altra vita, cominciando ben più che ab ovo , cioè dalla mitologia greca e da Omero.

Vandelli però non spese altre parole su quel primo corso universitario del giovane maestro poiché egli ritenne che il succo migliore di quel giovanile impegno di ricerca di precedenti veri o presunti, fosse, "spremuta da tanti antichi e nuovi studi ... la nitida, equilibrata conferenza fiorentina su La genesi della Commedia" ove una volta "mostrata la genesi tutta interna del poema dantesco, cioè come esso sgorgasse dal profondo dello spirito di Dante, il crenologo (...) afferma risoluto che per la Commedia non c’è luogo a parlare di fonti, come, egli dice, ‘per il Decamerone, per il Furioso, per la Gerusalemme liberata ’ ".

Torniamo dunque ancora sulle vicende di quel celebre scambio epistolare e di chi lo studiò dopo il Vandelli. Giorgio Gibaldi nel 1973 presenta l’edizione del discorso inedito su Ludovico Ariosto tratto dall’autografo ms. di Pio Rajna (Carte Rajna XV.D.9.), discorso pronunciato nel 1873 al Liceo Parini. In appendice Gibaldi raccoglie un gruppo di lettere del Rajna dirette ad Alessandro D’Ancona, inedite, scelte per illustrare la storia della stesura e della pubblicazione delle Fonti dell’Orlando Furioso e delle Origini dell’epopea francese. Egli nella nota introduttiva dell’appendice avvisa che il carteggio si trova inedito tra le Carte Rajna della Marucelliana di Firenze eccezion fatta per alcuni periodi citati nella Commemorazione del Vandelli o nella prefazione al Catalogo della Borroni.

Un florilegio da quel carteggio, per gran parte ancora inedito, frutto di una scelta funzionale e di un riordino integrato delle due filze di carteggi conservati in Marucelliana, Rajna a D’Ancona (carteggio 39) - D’Ancona a Rajna (carteggio 12), risulta essere ulteriore e non ultimo incremento conoscitivo ai fini di una più attenta valutazione della diegesi delle lezioni di Rajna, dello scambio con il suo maestro, e, non da ultimo, degli accidenti che hanno ostacolato la realizzazione del progetto di condensare in un libro le paginette in questione, o quanto meno ne hanno ritardato l’esecuzione e ridotto il potenziale impatto.

Sulla via che conduce allo svelamento dei fatti per tramite del carteggio Rajna-D’Ancona, conviene soffermarsi a valutare la tormentata storia istituzionale della nuova disciplina e in ciò farci aiutare da quel manipolo scelto d’uomini che hanno illustrato gli albori della Filologia romanza in Italia e gli esordi della "scuola storica", la cui peculiarità fu appunto l’applicazione del cosiddetto "metodo storico": espressione che era stata usata dal D’Ancona nella prelezione pisana del 1860 ma che deve la sua divulgazione alla famosa prolusione fiorentina del Villari all’anno accademico 1865-66.

Nel generale contesto favorevole alla disciplina, tra osservazioni entusiaste come quella del Monaci circa la forza propulsiva della grammatica comparata delle lingue romanze procurata da Diez e quelle accorate di un Bartoli preoccupato dello scarso interesse per la romanistica in Italia, la nascita e poi l’esistenza stessa della Filologia romanza nel nostro paese furono processi difficili sottoposti a vicende alterne; se infatti i Regolamenti Bonghi ("Bollettino ufficiale della Pubblica Istruzione", vol. I, gennaio 1876, pp. 32-36) sancivano l’obbligatorietà della disciplina insegnata da Rajna nelle facoltà di Lettere, i Regolamenti Coppino, usciti l’anno successivo (8 ottobre 1876), la eliminavano dal numero degli insegnamenti obbligatori; anzi di più la "Romanische philologie" veniva addirittura esclusa dalla sezione filologica (art. 16 dei Regolamenti) di cui continuava a far parte la sola "Storia comparata delle Lingue classiche e neo-latine" fondata dall’Ascoli. Tutto considerato non paiono superflui l’impegno e le parole che Rajna profuse per difendere l’obbligatorietà della romanistica in seno all’Università italiana, romanistica intesa come "Storia comparata delle Letterature neolatine".

Dopo Carlo Dionisotti e Domenico Consoli, più recentemente Guido Lucchini ha condotto una ricerca "sulla scorta di una rassegna sistematica delle riviste più significative e di un’ampia esplorazione archivistica", convinto del fatto che sebbene la teoria della letteratura positivistica risulti oggi fragile e superata, le monografie del Comparetti, del D’Ancona, del Rajna rimangano comunque "un’eredità ancora valida".

Occuparsi dell’istituzione della cattedra della nuova disciplina e della sua fortuna coincide con l’esposizione delle vicende che coinvolsero gli organi istituzionali e gli uomini ad essa connessi: dunque, restringendo il campo all’ambito italiano, significa parlare dell’Accademia Scientifico-letteraria di Milano e di Graziadio Ascoli. In verità a ben guardare nel ’72 l’Ascoli era conteso tra Firenze e Milano: Villari, infatti, aveva il desiderio "di attirar l’Ascoli a Firenze", e questo desiderio gli era suggerito dall’amore per il suo Istituto. Ascoli prese in seria considerazione l’idea di lasciare Milano sebbene egli sapesse che il suo progetto generava nell’Accademia e nello stesso Carlo Tenca un qualche rincrescimento, come si legge nella lettera da lui inviata a Pasquale Villari da Milano, il 4 luglio 1872, di cui procuriamo la trascrizione completa in appendice all’introduzione:

Amico pregiatissimo,
 

Le rendo vive grazie per la costante bontà ch’Ella mi dimostra, e vorrei potervi corrispondere in miglior modo che non mi sia per ora concesso.

Io dovrei in primo luogo domandare: dato che mi si chiami, e che io possa venire, quanta opera si vorrà da me, e quale? Come io incominciavo a dirle a Roma, gl’insegnamenti pei quali mi stimerei abbastanza preparato, sono questi: 1o. Lingue e letterature aramee, e Grammatica comparata delle lingue semitiche; 2o. Grammatica comparata indo-italo-greca (che è ora il mio insegnamento ufficiale); 3o. Filologia comparata indiana e irana; 4o. Storia comparata delle lingue neo-latine. Tutti e quattro gl’insegnamenti di fronte, non condurrei volentieri; bensì due per volta, secondo che si combinasse. Ed è bene inteso, che col 3o e col 4o non vorrei in alcun modo usurpare o pregiudicare le ragioni dei colleghi ai quali fossero specialmente demandate la provincia indiana e la romanza. / (f. 336 v.) [...].

Ma io non debbo ancora tacerle, che l’idea che io abbandoni l’Academia solleva qui un rincrescimento molto maggiore che io da prima non mi permettessi d’imaginare. Da ciò ne viene, che la difficoltà di aderire alle offerte che il suo Istituto mi volesse fare, // (f. 337 r.) potrebbe riuscirmi, per più ragioni, assai più forte che io non avessi da prima creduto; anzi forte a segno che l’eccitare lor signori a farmi delle offerte concrete, può oggi parermi una indelicatezza. Se, intanto, la mia necessaria perplessità, ch’ella vorrà scusare, avrà l’effetto di agevolare la trattativa col Mussafia, desiderosissimo di venire a Firenze, io la riputerò una vera fortuna.
 

 Di quale natura fosse il rincrescimento e di quale genere di pressioni si trattasse lo si può dedurre dalla lettera inviata dallo stesso Carlo Tenca a Villari il 16 novembre 1872, forse in risposta alle giustificazioni prodotte da Villari circa la legittimità del suo desiderio di attirare l’Ascoli a Firenze, quando ormai la nomina di Ascoli a preside dell’Accademia era già un fatto.

 

Caro Villari, Tu non hai bisogno di giustificarti con me. Non mi hai nascosto il tuo desiderio di attirar l’Ascoli a Firenze, e questo desiderio ti era suggerito dall’amore per l’Istituto che tu miri a far prosperare con ogni mezzo. Hai operato adunque apertamente e per un interesse pubblico, né io avrei potuto lagnarmi, qualunque fosse il danno che la partenza dell’Ascoli recasse alla nostra Accademia di Milano. Dal canto mio non ho fatto che rappresentare all’Ascoli questo danno e mostrargliene il mio dispiacere. [...]. La sua risoluzione è stata affatto libera. [...] In somma egli ha creduto che l’opera sua possa tornar più utile qui, all’ultimo non s’è saputo spiccare // (f. 111 v.) da antiche e simpatiche aderenze. Ha visto che l’Accademia sarebbe cascata senza di lui e ch’egli solo poteva rilevarla, e gli è parso far bene a restare.

 

Pressioni e rincrescimento a parte, decise per l’Ascoli la nomina a preside dell’Accademia comunicatagli ufficialmente in data 8 novembre dello stesso anno, allorché egli scrive di nuovo al Villari informandolo della sua elezione a Preside dell’Accademia con Regio Decreto del 6 novembre 1872 e della conseguente e oggettiva diminuzione della probabilità di trasferirsi a Firenze:

 

/ f. 340 r. [...] Senonché, non mi danno retta, né per questo, né per altro, e ora mi fanno sopraggiungere la nomina / (c. 340 v.) a Preside dell’Accademia, con dirmi che la maggior parte delle cattedre è vacante, e che faccia io la scuola a modo mio. Io ormai non so più che rispondere, ma mi par di vedere che le probabilità per Firenze sieno venute scemando.

 

All’indomani della sua nomina a preside di facoltà, Ascoli impose il nome di Rajna quale docente della novella disciplina sebbene Ugo Angelo Canello, allievo di Diez, ne avesse la libera docenza in Italia già dal 1872.

Fu l’Ascoli a suggerire a Rajna, titolare della prima cattedra di Letterature romanze all’Accademia Scientifico-letteraria (poi Facoltà di Lettere di Milano), anno accademico 1873-74, l’idea per "le lezioni pubbliche" ovvero "la materia e la forma della Commedia". Posto che il momento linguistico era "considerato come di spettanza della cattedra dell’Ascoli stesso", Rajna nel nome di Dante ("ab Jove principium...") inizia a definire i confini della nuova disciplina che, poco dopo, sarebbe divenuta Storia comparata delle Letterature neolatine orientandosi verso una ricerca più letteraria che linguistica ma per nessuna carenza conoscitiva. Rajna ne informa il suo maestro:

 

Per la lezione pubblica l’Ascoli stesso ha suggerito un’idea sulla quale vado studiando: gli piacerebbe che prendessi ad esaminare la materia della Divina Commedia, mettendo a confronto il nostro poema con tutto ciò che venne preparandolo nel Medio Evo.

 

Al principio timoroso, il giovane Rajna finisce col prendere in amore quell’idea fino a sognare un futuro per quel suo primo lavoro accademico d’argomento dantesco; e proprio nello scambio epistolare intenso e cordiale tra Rajna, discepolo devotissimo, e il D’Ancona suo insostituibile maestro rimane testimonianza di quell’intenzione di realizzare un libro con quelle prime lezioni.

Ma cosa avvenne e perché Rajna abbandonò il suo progetto? Quali fatti occorsero a frenare la stampa di un lavoro che nel 1892 apparve nella veste di una lezione conclusiva che neppure lasciava intuire l’operazione di scavo condotta nel corso delle lezioni del ’73 e la loro complessa articolazione tripartita: la parte francamente comparatistica, tributo da pagare alla scuola, un’altra relativa allo studio delle visioni ebraiche e cristiane e un’ultima dedicata alla letteratura visionistica medievale, indagine, quest’ultima, condotta oltre i limiti della ricerca delle fonti, nella ricerca dei motivi?

Per cercare di capire bisogna iniziare dall’epilogo, se così si può dire, di quella vicenda e più precisamente da I precursori di Dante, conferenza che il 18 maggio del 1874 D’Ancona tenne al Circolo Filologico di Firenze, poi ristampata con giunte bibliografiche nel 1912-13; conferenza che, ex re confecta, ebbe una grossa eco e tolse parte della novità al lavoro del Rajna essendo, per altro, più concisa e mirata a individuare visioni del tempo di Dante, ma che pure ebbe una genesi tutta particolare e ben documentata nel nostro carteggio. Così D’Ancona scrive a Rajna in una lettera del 18 aprile 1874:
 

 Se tu mi mandi a quel paese, hai tutte le ragioni. Oh senti un po’. L’altr’anno il diavolo mi fece capitar tra ’ piedi qui a Pisa il Peruzzi, il quale mi chiese di fare una Lettura al Circolo Filologico di Firenze. Preso alla sprovvista, risposi di sì, ma dissi che si sarebbe potuta rimandare la cosa al nuovo anno scolastico. Speravo che se ne fosse dimenticato, ma al principio di Novembre, eccoti una breve lettera che esige l’adempimento della promessa. Rimandai la lettura dal Novembre alle vacanze di Natale, da queste a quelle di Carnevale, poi a quelle di Pasqua; ora ho preso impegno pel tempo della Esposizione, quando andrò per qualche giorno a Firenze. Dirai che ti rubo gli argomenti: di fatti, avevo scelto uno più di competenza tua che mia: le relazioni tra l’antica letteratura francese e l’italiana. Messomi all’opera, non mi riuscì di concludere nulla: il tema è troppo vasto e insieme troppo scientifico, per cavarne fuori una Lettura, scopo della quale è divertire il pubblico. Mi venne la voglia di disimpegnarmi, ma mi fu fatto osservare che delicatamente non potevo, e non pareva neanche conveniente dopo certi fatti occorsi a proposito della cattedra già vacante nell’Istituto, di Storia della Letteratura italiana. Stetti di mal umore un pajo di giorni, poi mi venne in mente che potevo fare una lettura sul tema che stavo trattando appunto nelle Lezioni all’Università, cioè sulle leggende e visioni anteriori a Dante. Eccomi dunque di nuovo a camminarti sui piedi: valgami di scusa il non sapere se del soggetto delle tue conferenze a Milano, intendi farne un libro. Basta: la morale della favola è questa che tu devi aiutarmi, rimandandomi i libri che ti prestai. Tienli ancora due o quattro o sei giorni ma poi rispediscimili, ché il 12 di Maggio non è lontano.

 

Rajna risponde palesando la sua intenzione di raccogliere il materiale in un libro, ma quasi intimorito e per cortesia rimanda le decisioni a quando sarà giunto ad calcem considerato che "dall’intenzione al fatto c’è tanta distanza, che non sarà niente difficile che non ne faccia nulla". D’Ancona, in una successiva missiva replica osservando che la sua conferenza non avrebbe tolto in nessun modo opportunità al futuro libro del caro discepolo, altrimenti scientifico rispetto alla sua dissertazione letteraria:

 

Vado mettendo in ordine il vasto materiale e il più difficile è costringerlo dentro i confini di una conferenza. Se mi riuscirà male, penserò a stamparla aggiungendo note di erudizione e di bibliografia. Cerco di rivedere i testi, ma non tutti sono facilmente ritrovabili: ad ogni modo, se dovrò stamparla, la manderò prima a te perché tu mi dia il tuo giudizio e mi additi le maggiori lacune. Tutto ciò non toglierà punto opportunità al tuo libro futuro, che avrà indole scientifica mentre la mia Dissertazione avrà soltanto un valore letterario.

 

La dissertazione letteraria di D’Ancona, caratterizzata, e son parole della Gonelli, da notevole "coerenza metodologica", costituì in realtà un evento importante e una prima consistente sistematizzazione della letteratura di visione più direttamente vicina a Dante. Il materiale è organizzato e diviso in visioni monastiche, politico-economiche, e poetiche; sono comprese tra le prime: la "Visione di S. Paolo", il "Viaggio di S. Brandano", la "Visione di Tundalo", il "Purgatorio di S. Patrizio", e la "Visione di Alberico"; tra le seconde: il "Dialogo" IV di S. Gregorio, la "Visione di Bernoldo", e la "Visione di Carlo il Grosso", armi di polemica politica, e la "Visione di Re Dagoberto", la "Visione su Carlomagno", la "Visione di Wettino" e la "Visione di S. Eucherio", volte a stimolare i ricchi possidenti a dispensare fondi per la costruzione di abbazie e chiese; le visioni poetiche, infine si dividono in laicali (Voye du Paradis di Baudouin de Condé, Voye du Paradis e Favolello di Rutebeuf, La cour de Paradis , il favolello du Vilain qui gagna Paradis en plaidant, Songe d’Enfer di Raoul D’Houdain) e vicine allo spirito degli ordini mendicanti (Visione dei gaudi e de’ santi, e la lauda di Jacopone da Todi O Gesù nostro amator). Anche sulla questione dei classici D’Ancona spende due parole sostenendo che Dante trovava nel poema di Virgilio una descrizione del Tartaro, e nel Somnium Scipionis di Cicerone una descrizione della sede dei giusti e aggiunge che tuttavia questa parte delle discese al Tartaro o agli Elisi presso gli scrittori pagani, delle quali molte dovevano essere note a Dante, è ottimamente trattata dall’Ozanam.

Sicure e immediate conferme circa l’impatto ampiamente positivo ch’ebbe la conferenza fiorentina del D’Ancona non solo tra gli studiosi, si ricavano dalla cronaca, basti rileggere l’articolo entusiasta apparso sulla "Nazione" il venerdì 22 maggio 1874, come pure dagli apprezzamenti privati, fatti ad personam, ad esempio quello che Villari esprime in una missiva del 28 agosto 1874; al contrario il libro di Rajna rimase manoscritto. Che sia stata questa conferenza del maestro, a disanimare l’impeto di Rajna o semplicemente a compromettere la validità d’impostazione di quelle lezioni così lontane dalle immediate certezze di cui i Precursori di Dante in poco spazio davano contezza; oppure al contrario che nulla c’entri "il diavolo tra i piedi", ma che invece il progetto di fare un libro sia decaduto naturalmente avendo Rajna già nell’aprile del ’74 accettato l’incarico propostogli dal comitato per il centenario dell’Ariosto, come egli stesso scrive al D’Ancona, non è cosa facile da stabilire. Certo è che il nuovo lavoro già occupava la mente di Rajna che nella lettera del 3 giugno dello stesso anno informava D’Ancona dell’intenzione "di andare a Torino a lavorare un poco per l’Ariosto".

Quanto poi all’osservabile decremento quantitativo dello scambio epistolare Rajna-D’Ancona, fattosi più conciso ed essenziale dopo il mese di maggio, ne è probabile causa l’arrivo dell’estate: lo scambio intellettuale continua, infatti, ad essere qualitativamente intenso e adeguato a quei sentimenti esistenti tra maestro e discepolo di cui proprio D’Ancona si fa portavoce sincero in una lettera inviata al De Gubernatis:

 

(2r.) / Il Rajna, il D’Ovidio, il Vitelli, il Caix ed altri giovanotti che sempre più si fanno onore nell’insegnamento e nella scienza sono miei alunni, ma non pretendo d’averli formati interamente io. [...] Il D’Ovidio deve quel che sa di lingue classiche ai buoni metodi insegnatigli dal Comparetti. [...]. // (2 v.) Deve molto anche al Teza, come al Teza e al Comparetti deve il mio Rajna. È questi l’alunno mio prediletto nel quale mi compiaccio pel molto ingegno e per l’aurea bontà. Egli ha per me l’affetto di un figlio, ed io l’amo come si ama un figlio. Credo ch’egli debba molto a me, e se dimandasse a lui egli forse direbbe tutto; ma più deve al suo molto ingegno.

Del resto, con tutti questi ragazzi facciamo un po’ quel che fa la levatrice: ed è una fortuna per noi l’imbatterci in loro, come è una fortuna per loro il trovar maestri che comunichino volentieri la loro scienza, e quel che è più e meglio insegnino il loro metodo.

A testimoniare l’interesse ancora vivo di Rajna per quel suo primo lavoro accademico, abbiamo una lettera del 5 novembre del ’74 che ci pone sulle tracce di una virtuale prosecuzione del lavoro nel successivo anno accademico:

Oltre ai libri che Ella indica, ho ancora di suo il Wright, St. Patrick’s Purgatory. Se non le spiace lo trattengo, giacché in grazia delle conferenze di latino, non potei l’anno passato esaurire l’argomento delle leggende, e dovrò quindi ripigliarlo in privato cogli studenti. Le sarò anzi ben grato, se avendo com’Ella crede un’occasione opportuna, vorrà favorirmi ancora per qualche tempo il 1o volume di Marie de France, e quegli altri due testi del Pozzo di S. Patrizio e di non so che altro, che Ella aveva avuto la bontà di prestarmi. Erano due opuscoli, uno dei quali stampato, se non m’inganno, a Ginevra. Dovrei anche aver bisogno del Robert, Fables inédites, per illustrare una raccolta curiosa di favole, che nello stesso tempo abbiamo trovato, io all’Ambrosiana, Guglielmo Meyer alla Vaticana. Non si tratta a quello che pare, di un contenuto nuovo; sebbene di una veste nuova, data, non sappiamo dir quando né l’uno né l’altro, ai materiali vecchi e tradizionali. Avrebbe ad essere un lavoruccio per la "Romania". Ma quando riuscirò a metterlo insieme?.
 

 E ancora nel novembre dello stesso anno così scriveva al maestro: "E forse è roba di Giovanni anche una Visio Egidii regis Padue , che è seguita immediatamente dal Liber de generatione aliquorum civium urbis Padue, del quale le parlai a lungo". Prove della continuazione della ricerca di Rajna sono anche le ultime carte che, come abbiamo già osservato, contengono un aggiornamento bibliografico fino al 1902 e le numerose note disseminate entro l’intiero corpus di lezioni i cui riferimenti bibliografici sono, per gran parte, relativi agli anni de La genesi della Divina Commedia.

A ben vedere, un’altra ricerca svolta in occasione degli esordi milanesi, e precisamente quella relativa all’Intelligenza, ebbe motivo d’esser ripresa in seguito da Rajna che ne fece l’oggetto dell’ultimo corso del suo insegnamento, svolto in Firenze nell’anno accademico 1921-22.

L’Intelligenza, per quanto risulta dal carteggio esaminato in questa sede, fu, infatti, la materia delle tre conferenze, di un’ora e mezza ciascuna, che Rajna tenne all’Accademia di Milano, in aggiunta al ciclo ordinario di lezioni. Il 23 novembre 1873, infatti, Rajna si rivolge al D’Ancona parlando intorno all’articolazione di tali conferenze:

 

oltre alla lezione avrò tre conferenze di un’ora e mezza. Com’Ella vede, non è poca cosa. In una non farò che compiere lo svolgimento di ciò che nella lezione avrò appena potuto accennare, non risparmiando nemmeno le digressioni, se il tempo non si opporrà; in un’altra attenderò a ricerche monografiche, nella terza leggerò e farò leggere testi francesi e provenzali.

 

 Le ricerche monografiche, specifica appena dopo Rajna nella stessa lettera, avranno per argomento l’Intelligenza. è verosimile individuare in due filze delle Carte Rajna della Marucelliana i materiali relativi almeno alle prime due conferenze; si tratta delle Carte Rajna XII.Q.126., costituite di 5 fascicoli dedicati all’Intelligenza più due con studi sui lapidari successivi per complessive 79 carte, e XII.Q.127., 2 fascicoli, l’uno dedicato a "L’Intelligenza. Studi e Ricerche" e l’altro a "Strofa e verso a proposito del poema la ’ntelligenza" per complessive 24 carte.

Da ultimo e per concludere vogliamo evincere un’altra osservazione dal carteggio: Rajna parlando dell’Intelligenza come di argomento buono per le conferenze nella lettera del 2 dicembre ’73 manifesta al suo maestro la necessità di mettersi sulle traccie di lapidarii, delle varie versioni dei romanzi d’Alessandro di Cesare e di Troia. Alla esternazione di Rajna, D’Ancona risponde d’aver molti materiali relativi al poemetto, così che un giorno avrebbero potuto metter insieme gli studii; e quanto ai lapidarii, dopo aver suggerito lo scritto del Narducci, afferma che il testo migliore è il Marbodo, e aggiunge che tra i suoi fogli ci ha da avere un raffronto fra Marbodo e l’Intelligenza che si fece fare da Meyer mentre il raffronto col testo francese marciano del Cesare che aveva commissionato al Bartoli era confluito nella sua Storia. Questo relativo al lapidario di Marbodo sarà un altro lavoro che Rajna riprenderà più tardi, negli anni tra il 1875 e il 1882. Tra le carte della Marucelliana con segnatura Carte Rajna III.A.3. sono conservate due redazioni frammentarie di uno studio su Il Lapidario attribuito a Marbodo; la prima redazione da carta 1 a carta 86 è scritta su fogli mobili in inchiostro blu solo sul recto ed è redazione definitiva approntata per la tipografia; le altre cc. 130-153 sempre relative al Lapidario sono ulteriori appunti. Anche queste paginette non andarono ad ingrossare la bibliografia degli scritti a stampa di Rajna ma questa volta altre, a voler scavare, sarebbero le ragioni, forse semplicemente l’avvenuta stampa di un lavoro di Léopold Pannier, dell’aspettazione del quale Rajna stesso parla a carta 2: "In questa aspettazione, non istarei a portar io >adesso< dinanzi al pubblico la questione dell’autore del Lapidario, se non fosse l’aver messo mano sopra qualche documento ignorato che porta nuova luce — o nuove tenebre, se si vuole — nella controversia". Il lavoro del Pannier uscì a stampa nel 1882 con una premessa di G. Paris dalla quale ricaviamo la notizia che "Ce travail est, [...], la thèse que Pannier avait soumise à l’école pour obtenir le titre d’élève diplômé". Egli aveva poi ripreso il lavoro con l’intenzione di ritoccarlo quando morì il 9 novembre 1875 dopo alcuni giorni di malattia "contractée pour avoir travaillé trop tard, la nuit, la fenêtre ouverte".

 

 

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