Note e discussioni di Claudia Di Fonzo a

"Sotto il segno di Dante". Scritti in onore di Francesco Mazzoni,  Firenze, Le Lettere, 1998.

Vittore Branca, Consacrazioni e dissacrazioni dantesche nel "Decameron". Una lettera a Francesco Mazzoni (dopo 53 anni), pp. 53-63.

 
Raffinata pièce letteraria la lettera aperta di Vittore Branca a Francesco Mazzoni e a sua moglie Maria Grazia "quasi in luce di fiaba" che si snoda tra cronaca e letteratura per divenire storia della critica letteraria. Branca ripropone i momenti salienti del culto dantesco del Boccaccio sottolineando come neppure Dante sfugga alla sua "foga ironizzante". Caso emblematico quello del nome di Beatrice che compare nel Decameron una sola volta a designare antifrasticamente una generosa e liberissima adultera. Così pure l'idiotismo lagunare veneto bollato da Dante nel De Vulgari viene evocato Boccaccio in funzione ironica nella novella della credula Lisetta e del frate Alberto da Imola che, nelle vesti dell'agnolo Gabriello voleva fare all'amore con lei. Una sorta di astio antiveneziano, opposto alla celebrazione che di Venezia fece Petrarca, e che scrive Branca "nel vero artista (...) si sublima in una grandiosa e divertita opera buffa", ed è il caso della novella di Lisetta la cui trama risale a Giuseppe Flavio. Proprio Lisetta (nome ricorrente presso gli stilnovisti in Dante e in G. Quirini) unica figura baldanzosa e provocante tra quelle donne dello Stil novo dantesco, diviene oggetto dell'ironia di Boccaccio il quale fa di frate Alberto un angelo che vuol godere della baldanzosa e morbida Lisetta e che, come Beatrice, scende in terra "a miracol mostrare" cioè a dire parossisticamente a consolar le donne veneziane. E Lisetta è dolce, ma dolce di sale e frate Alberto è la fiera che viene braccata e posta alla berlina. Parodia e dissacrazione, tutto uno spregiudicato capovolgimento-omaggio di testi ascetici. Avviandosi a concludere la sua pièce, il Branca disegna la nuova frontiera degli studi sul Boccaccio: l'identificazione di una redazione giovanile del Decameron anteriore a quella letta da sempre degli anni '70-72 (quella della quale Ricci e Branca individuarono l'autografo nell'Hamilton 90). Questa redazione giovanile, attribuibile agli anni 1349-51, è trasmessa autorevolmente dal codice Parigino italiano 482 (P) e da 40 manoscritti a lui affini. Dalla collazione delle due redazoni, scrive Branca, emerge la tendenza della redazione a tutti nota a occultare "le intertestualità o linguistico -stilistiche o allusivo- intensive" e dunque le traccie della presenza di Dante. La situazione è tuttavia difficilmente definibile entro il corpus delle opere di Boccaccio poiché si trovano elementi contraddittori. Ciò detto, Branca considera esemplare il passo in cui Martuccio espone la sua furba proposta al re di Tunisi e conclude che, con chiarezza in questo caso, l'allusione dantesca presente nella redazione del '39-'40 tende a scomparire in quella del '70-'72.

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