Patrick Boyde, Essay on a line of Dante. "Io ti farò vedere ogne valore" (pp. 37-52)

 

ovvero saggio sul verso 42 di Par. XXVI le cui parole formano una unità semantica. La proposizione, scrive infatti Boyde, dal punto di vista grammaticale, è una constructio congrua ovvero una struttura significante in ogni sua parte e senza solecismi. Dal punto di vista retorico la sintassi è disadorna. Ma la poesia non può dirsi tale senza la musica (cfr. a tal proposito anche C. Di Fonzo, Della musica e di Dante: paralipomeni lievi, in "Scritti offerti a Francesco Mazzoni dagli allievi fiorentini", Firenze, Società Dantesca Italiana, 1998, pp. 47-61) ove con musica Boyde indica, come del resto faceva Agostino, l'arte dei numeri più che del linguaggio e con il numero il ritmo del verso riproponendo idee già esposte in passato allorché scriveva "It is 'music' that distinguishes poetry fromm artistic prose" ed è compito del poeta legare insieme le parole: tale legame è la 'bella relazione' ovvero l'armonia che noi percepiamo come 'dolcezza' (P. Boyde, Dante's Stufe in his Lyric Poetry, Cambrige, 1971, pp. 209-35). Tornando sulla questione Boyde precisa che tale relazione è data da tre elementi principali: numero, consonanza e armonia. Il numero si riferisce al metro e al ritmo. L'armonia è l'arte propria della musica con la quale si produce dolcezza che in poesia si ottiene combinando le parole pexa (De v. E II vii 2) e che si perde nelle traduzioni. Ciò premesso Boyde inizia ad analizzare il verso e dopo alcune osservazoni relative ai monosillabi "io" "ti" parla della "teoria della visione" connessa al verbo "veder". Per Dante il vedere è la più nobile delle attività dei cinque sensi. Attraverso il vedere si ricevono le impressiones che conducono alla conoscenza. Dalle immagini ricevute dipende la nostra capacità di valutare con la quale comprendiamo le intenzioni e evitiamo le situazioni nocive. Ne segue che vedere è necessario per sopravvivere. Per quel che riguarda la parola chiave "valore" Boyde disegna uno spettro di accezioni possibili entro il sistema dantesco: con essa Dante intende la capacità di vedere; o anche la potenza dell'anima vegetativa e delle piante; nel Purgatorio indica l'insieme delle virtù cortesi e coincide dunque con cortesia; in tutti gli altri casi indica la bontà in generale, la "goodness". Perspicuo a tal fine l'esempio addotto cioè quello di Ulisse che diviene esperto de li vizi umani e del valore. In più la parola "valore" è in rima o in prossimità di parole come "amore" e "onore" alle quali è legata non solo dalla rima ma dall'ambito semantico. Ciò detto e proprio in relazione al verso del canto XXVI sopra citato, Boyde enuncia l'idea che può dirsi conclusiva del suo contributo ma che in realtà, avverte egli stesso, è solo propedeutica in vista di un terzo volume della sua trilogia dedicato alle interazioni tra il pensiero di Dante e la sua poesia: la parola "valore" si oppone ai "vizi umani" e indica qualcosa di simile a una virtù morale in quel contesto "and if we were to seek to define (cercare di definire) valore through its effects, pronominally, we may to say it was the combination of personal qualities that makes me happy, attracts love from thee and wins honour from them" (p. 43). E valore è in uno stupefacente numero di attività umane e include una moltitudine di virtù diverse per tipologia e provenienza, è una recta ratio agibilium e una recta ratio factibilium. Estrema conclusione è quella per cui nel verso in questione "God himself is ogne valore" (p. 49). Infatti l'umana esistenza può aspirare non oltre la vita che è semplicemente buona (vita attiva) che si raggiunge in accordo alla ragione (secundum rationem) e che la somma virtù è la giustizia, quella Giustizia che si rileva come "altro" nel Sermone della montagna. Io ti farò vedere ogne valore è la traduzione ad unguem di Esodo XXXIII 19 allorché Dio dice a Mosè: "ego ostendam omne bonum tibi".